venerdì 6 marzo 2009

Originale, Elaborata o Gassata?


Ovvero del digitale e dell'analogico.
Che cosa è l'originale nella fotografia digitale? Possiamo considerare l'immagine che viene memorizzata sul supporto di memoria dalla fotocamera all'atto della ripresa come l'originale. Resta il fatto che è comunque difficilmente distinguibile da elaborazioni successive. Per esempio una immagine ripresa a colori poi trasformata in una immagine in toni di grigio è "originale" quanto la stessa immagine ripresa direttamete in B/N? E una immagine ripresa a colori e poi trasformata dal suo formato nativo in RGB? E allora se poi la stessa immagine viene elaborta modificandone luminosità e contrasto o addirittura elaborandone la mappatura del colore? Non sono forse anche queste immagini degli "originali" in quanto risultato della personale sensibilità dell'autore?
Ancora, come si devono considerare le immagini ottenute dalla semplice duplicazione dei file? Questo forse è il punto, in quanto non è prerogativa della fotografia digitale la elaborazione, anche in camera oscura si possono operare elaborazioni legate alla creatività personale del fotografo ma mentre nel sistema analogico/chimico ogni singola stampa è un singolo originale ottenuto dallo stesso negativo originale, nel processo digitale/informatico posso (quantomeno con maggiore libertà e disinvoltura) operare elaborazioni sequenziali e posso avere una proliferazione pressochè infinita di immagini gemelle. Forse l'originale è diventata più un concetto astratto che un oggetto fisico.
O forse, in fin dei conti, passando al sistema digitale, il concetto di "originale" viene a decadere per evolversi nel concetto di "originalità" più liberamente creativa.
Probabilmente queste sono speculazioni fini a se stesse ma è pur vero che il passaggio a strumenti di espressione digitale modificano sia l'approccio che gli esiti del linguaggio delle imagini...

B/N vs. COLORE


Nella ripresa digitale la scelta tra bianco e nero e colore non è più una scelta tecnica vincolante e soprattutto preventiva, ma una opportuntà compositiva, che può essere valutata anche in fase di post-elaborazione.
E' vero che posso anche impostare il B/N già in ripresa e scartare quindi in maniera irrecuperabile le informazioni di colore ma in ambito digitale, mi pare una limitazione sterile e puramente pretestuosa. In ambiente chimico/analogico la scelta del colore o del bianco e nero imponeva poi la consapevolaezza di dover scegliere tra due strade diverse ed irreversibili e quindi imponeva una attegiamento di ripresa coerente con la scelta operata. Nell'ambito informatico/digitale la ripresa è libera ed indifferenziata, e qualsiasi operazione si faccia successivamente è comunque sempre reversibile (fino alla immagine "originale"), operiamo quindi delle interpretazioni, delle elaborazioni che ci permettono di "virare" il contenuto comunicativo della immagine.
La principale conseguenza di questa liberalizzazione è la valutazione dei contenuti comunicativi ed espressivi della medesima immagine in B/N o in Colore. Si tratta di una operazione non indifferente, nel senso che non è detto che qualsiasi ripresa abbia potenzialità espressive sia in B/N che a Colori. A volte questo è vero, altre volte la trasformazione in B/N è peggiorativa ed altre ancora è una trasformazione in grado di valorizzare uno scatto assolutamente insignificante a colori.

mercoledì 4 marzo 2009

racconti


Ogni linguaggio ha i suoi racconti e la fotografia può essere un linguaggio per raccontare l'architettura e l'ambiente in cui viviamo o che ci troviamo ad attraversare. Alcune delle immagini di questo blog sono un semplice racconto di viaggi attraverso luoghi più o meno lontani. Intendendo la lontananza sia in senso fisico che culturale.
Sono in sostanza appunti di viaggio, sensazioni e siggerimenti che mi hanno incuriosito.

ritratti


Se è vero che le Case hanno un'anima allora possiamo dire che le fotografie degli edifici sono i ritratti delle architetture?
Il ritratto cerca di cogliere lo spirito, lo sguardo, l'anima, appunto, del soggetto.
E se il soggetto è un febbricato?

Il "fabbricato" in sè è un oggetto inanimato, e in quanto tale privo di anima. Ma se il fabbricato è anche una architettura?

Allore le questione da chiarire è: qundo uno spazio o un oggetto inanimato si possono definire come architettura?

Difficile, forse impossibile per me dare una risposta esauriente a questa domanda, sarebbe decisamente presuntuoso e poi non è questa la sede adatta.
Mi azzardo qui a tentare di esprimere come io posso rispondere limitatamente a quello che concerne l'ambito del mio modo di raccontare l'architettura per immagini.

Personalmente definisco uno spazio o un oggetto inanimato come architettura quando, per volontà della persona che li hanno progettati, oppure per l'usura del tempo e delle tracce di vita delle persone che vi sono passate, in essi si siano sedimentate scheggie dell'anima e della personalità di costoro. Quando queste scheggie sono riconoscibili allora è possibile parlare di ritratto anche per l'architettura.

Questo siglifica anche che si deve essere in grado di vederle, di percepirle e ciò non è sempre facile, a volte è impossibile e dipende anche dallo stato d'animo con il quale mi pongo di fronte agli spazi e agli edifici che di volta in volta e per i motivi più disparati mi incuriosiscono e mi stimolano a fotografarli. Addirittura a volte queste scheggie di anima compiono rivedendo una immagine ripresa quasi per caso o solo per mera documentazione didattica o professionale. Altre volte immagini scattate credendo di avere colto qualche scheggia sedimentata non riescono poi a restituirla come immaginavo.

Qui pubblico alcune delle immagini che in un modo o nell'altro mi hanno rivelato qualche scheggia di anima architettonica.

Non sono immagini sofisticate o tecnicamente "progettate" sono piuttosto delle istantanee, riprese al volo sulla base di sensazioni fugaci e poi elaborate con lo stesso spirito e con le poche conoscenze tecniche di cui dispongo.

Chi sono


Non sono un fotografo, sono un architetto. E già solo questa semplice affermazione è impegnativa. Per definizione l'architetto costruisce, trasforma l'ambiente e lo fa in prima persona. L'esito di questa attività invadente è legato oltre che alla personalità del progettista, anche all'influenza che l'ambiente esercita sulla personalità stessa.
O meglio, i differenti ambienti con i quali l'architetto si trova ad interagire anche passivamente ed a volte inconsapevolmente ne influenzano in maniera imprevedibile l'opera.

lunedì 2 marzo 2009

il tempo


Io spazio fisico ha di tre dimensioni lineari, il tempo è la quarta dimensione.
Le quattro dimensioni assieme definiscono l'ambiente in cui viviamo.
Il tempo nelle fotografie perde la sua continuità.
Usare la fotografia per raccontare l'architettura significa utilizzare un linguaggio discreto per raccontare una realtà continua.
Usare la fotografia per raccontare l'architettura è quindi una astrazione e in quanto tale è del tutto personale e legata alla personalità di chi racconta ed alle suggestioni del momento che l'immagine isola dalla continuità spazio-temporale.

l'architettura e la fotografia


La prima è poi diventata la mia professione, e la seconda mi serve per raccontare. Raccontare le sensazioni e i suggerimenti che colgo osservando l'amiente costruito e non: l'architettura degli edifici e degli spazi; l'architettura voluta e l'architettura involontaria